Il sistema elettorale statunitense: perché un candidato alla presidenza può perdere le elezioni, pur avendo ottenuto la maggioranza assoluta dei voti (di Sassan Masserat)

Comprendere il sistema elettorale statunitense: Perché un candidato alla presidenza USA può perdere le elezioni, nonostante raccolga la maggioranza dei voti popolari.

Come noto l’8 novembre scorso il presidente-eletto Donald Trump, candidato del Partito Repubblicano, ha vinto le elezioni presidenziali statunitensi, pur avendo ricevuto meno di 62 milioni di voti, contro i ben più di 63 milioni di voti raccolti da Hillary Clinton, la candidata del Partito Democratico. La candidata democratica ha quindi vinto il cosiddetto “voto popolare”, mentre il suo contendente ha vinto il cosiddetto “voto elettorale” o dei “grandi elettori”.

Era già accaduto altre quattro volte nella storia delle elezioni presidenziali statunitensi che un candidato venisse eletto senza aver ottenuto il voto da parte della maggioranza dei cittadini che hanno votato. Recentemente il celeberrimo caso Bush v. Gore[1] ha ribadito il concetto in base a cui il Collegio Elettorale consente che un candidato che pur abbia ottenuto il plebiscito popolare, possa non diventare presidente. A questo proposito, va chiarito che il Collegio Elettorale, per quanto possa essere percepito come una istituzione poco comprensibile e in alcuni casi dagli effetti paradossali, consiste in realtà in una limitazione, prevista dalla Costituzione[2] al sistema dell’elezione diretta (che veniva percepito come poco affidabile da parte dei padri costituenti o “Padri Fondatori”[3], infra) del Presidente degli Stati Uniti.

Il sistema elettorale statunitense prevede un doppio passaggio. In realtà quando i cittadini statunitensi si recano alle urne per eleggere un presidente, essi non votano direttamente per un candidato, bensì per una particolare lista di delegati (i cosiddetti “Grandi Elettori”), a sua volta collegata ad uno dei candidati presidenziali: saranno i Grandi Elettori a votare direttamente per il candidato presidenziale prescelto. In poche parole, un candidato alla presidenza deve ricevere la maggioranza dei voti dei Grandi Elettori per essere eletto. In 48 dei 50 stati statunitensi, la lista che ottiene il maggior numero di voti da parte cittadini ha la possibilità di indirizzare tutti i voti elettorali attribuiti a tale Stato verso il proprio candidato. Il numero di voti elettorali attribuiti a ciascuno Stato è dato dalla somma dei suoi senatori (a livello federale) e dei suoi rappresentanti (altresì a livello federale)[4]. I Grandi Elettori si incontrano, ciascuno nello Stato di appartenenza, 41 giorni dopo l’elezione popolare per effettuare due votazioni: una per il presidente ed una per il vice presidente. Non sarebbe comunque corretto sostenere che il Collegio Elettorale non permette al popolo di scegliere il proprio presidente. L’elezione del presidente avviene comunque sulla base di un computo dato dal modo con cui i Grandi Elettori vengono assegnati a ciascuno Stato. A ciascuno Stato, tranne che al Maine e al Nebraska, i Grandi Elettori vengono assegnati secondo un criterio “chi vince prende tutto”. Quindi, quando una lista afferente ad un candidato vince in uno Stato, pur avendo conseguito un margine ristretto, tale lista vince tutti i voti elettorali (e quindi i Grandi Elettori) di tale Stato. Va peraltro segnalato che questo criterio non è stato imposto da parte dell’amministrazione federale, poiché ciascuno Stato è libero di ripartire i propri voti elettorali a piacimento.

La ragione per cui la Costituzione prevede questo meccanismo, anziché permettere l’elezione diretta del presidente, è che la maggior parte dei Padri Fondatori temevano la possibilità che l’applicazione di un sistema ad elezione diretta avrebbe portato alcune forzature alla ancora giovane democrazia statunitense.  Ad esempio James Madison vedeva con sospetto quelle che definiva “fazioni” – definite come gruppi di cittadini con un comune interesse in qualsiasi tematica che potesse potenzialmente limitare i diritti di altri cittadini o nuocere alla nazione. Il timore di Madison era che una fazione potesse crescere fino a comprendere oltre il 50 per cento della popolazione, potendo a quel punto “sacrificare, a causa delle loro passioni o interessi, sia il bene pubblico, sia i diritti degli altri cittadini.”  Questo pericolo venne definito “la tirannia della maggioranza”.

Come scrive Alexander Hamilton in “The Federalist Papers”, la Costituzione è stata studiata per garantire “che la carica di Presidente non potrà mai cadere al lotto di qualsiasi uomo che non abbia capacità eccezionali o che non sia dotato delle qualifiche richieste.” Lo scopo del sistema del Collegio Elettorale è quindi quello di preservare “il senso del popolo”, ed allo stesso tempo assicurare che un presidente venga scelto “da uomini che siano più in grado di analizzare le qualità adatte alla situazione, e di agire in circostanze favorevoli alla deliberazione, e ad una giudiziosa combinazione di tutte le ragioni e incentivi che siano adeguate a governare la loro scelta.”

Va comunque specificato come al giorno d’oggi il Collegio Elettorale sia per lo più una formalità. La maggior parte dei Grandi Elettori sono membri del partito che li ha scelti, e in 26 stati, oltre al Distretto di Washington, gli i Grandi Elettori sono vincolati da leggi o dalla fedeltà al partito che li obbligano comunque a votare per il candidato che è stato concordato coerentemente con il risultato del voto popolare. Pur potendosi verificare, in via teorica, il caso del Grande Elettore che decidesse di cambiare il proprio voto (e qualcuno in realtà l’ha fatto, nell’arco della storia delle elezioni statunitensi), si tratterebbe di un’ipotesi assai singolare.

Sassan Masserat

 

 

 


[1]  531 U.S. 98.
[2] Articolo II della Costituzione degli Stati Uniti.
[3] Federalist Paper No. 68, attribuito a Alexander Hamilton.
[4] Il Distretto di Columbia ha tre voti elettorali, che è il numero di deputati e senatori che avrebbe se fosse consentita la rappresentanza al Congresso.