Validità di un non-compete agreement dopo la fine del rapporto di lavoro: confronto tra alcuni Stati USA

Negli USA l’atteggiamento da parte dei vari Stati nei confronti dei “Non-Compete Agreements” o dei “Non Compete Covenants”, cioè di quelle clausole – in Italia chiamate patti di non concorrenza – contenute nei contratti di lavoro che richiedono al lavoratore dipendente (spesso munito di conoscenze e informazioni tali da potersi potenzialmente e pericolosamente rivendere alla concorrenza) di non lavorare per i concorrenti dopo la fine del rapporto di lavoro può assumere profili differenti e va tenuto presente che l’evoluzione giurisprudenziale in materia è, come in molte materie, in continua evoluzione.

L’ultima decisione in senso restrittivo arriva dalla Corte d’Appello dell’illinois, che in una recente decisione1 ha sancito come la promessa di un contratto a tempo indeterminato2 non costituisca un valido compenso (“consideration”) per rendere efficace una clausola di non compete. Perchè la clausola sia valida ed efficace è richiesta una durata del rapporto di lavoro di almeno due anni continuativi. Inoltre, vengono imposte alcune restrizioni al tipo di compenso richiesto in cambio del patto di non concorrenza: non è sufficiente la retribuzione già prevista nell’ambito del rapporto lavorativo, ma è necessario un bonus, stock options, o un rapporto di lavoro a cui durata sia certa.

I patti di non concorrenza generalmente contengono tre tipi di restrizioni: (a) proibiscono all’ex dipendente di lavorare per una società concorrente; (b) proibiscono all’ex dipendente di contattare gli ex colleghi perché questi vadano a lavorare presso il nuovo datore di lavoro e/o; (c) proibiscono all’ex dipendente di utilizzare informazioni confidenziali per fare concorrenza all’ex datore di lavoro. Anche se, per quest’ultima fattispecie, vi sono anche altri tipi di vincoli, imposti sia dagli accordi di confidentiality fatti sottoscrivere al dipendente, che dall’implementazione da parte dei vari Stati dello Uniform Trade Secrets Act3 (“UTSA”).

In generale, tuttavia, i vari Stati hanno sviluppato elaborazioni giurisprudenziali diverse nei confronti delle clausole di non compete, anche perché esse vengono considerate comunque come una restrizione nei confronti del principio del “free trade”, conseguentemente nella maggior parte degli Stati vengono considerate nulle quelle clausole che limitino in maniera non ragionevole la capacità individuale di condurre un’attività commerciale.

La California, tradizionalmente molto tutelante nei confronti dei lavoratori, è lo Stato nel quale è più difficile far valere una clausola di non-compete nei confronti di un dipendente. Sono in molti, fra l’altro, a ritenere che questa sia anche una delle caratteristiche che, consentendo un’enorme mobilità ai cervelli di Silicon Valley, ne favorisca la ricchezza. Seppure i patti di non concorrenza siano generalmente invalidi in California (ed è invalido pure il licenziamento nei confronti del dipendente che si rifiuta di sottoscriverli), una possibile alternativa è – in alcuni casi e qualora le liste clienti siano da considerare un trade secret, quella di impedire all’ex dipendente di sollecitare i clienti dell’ex datore di lavoro sulla base del fatto che questo può costituire violazione di segreto industriale. E’ interessante, fra l’altro, come in California sia molto difficile ottenere l’esecuzione, per via giudiziale, di un non-compete sotto legge di un altro Stato. Come dire, cervelli, scappate in California, se volete rimanere impuniti!

Lo Stato di New York ha un atteggiamento decisamente più morbido, nel senso che i non-compete nei confronti dei dipendenti sono ammessi, ma, essendo comunque considerati come delle restrizioni al libero scambio, essi vengono ammessi a determinate condizioni. Le restrizioni alla concorrenza devono essere “ragionevoli” e consentire comunque all’ex dipendente di mantenersi. Sono, poi, previste limitazioni dello scopo, della durata e geografiche.

Il Texas include la disciplina sui patti di non concorrenza nel Texas Business and Commerce Code (“TBCC”), che prevede la validità di accordi che contengano “…limitazioni ragionevoli con riferimento all’estensione geografica, la durata e lo scopo dell’attività che viene limitata e solamente ove essi siano collegati e inseriti nell’ambito di un contratto valido.” Tre successive sentenze a partire dal 2006 hanno chiarito e ampliato le disposizioni contenute nel TBCC, prevedendo ora che anche i cosiddetti accordi di stock option facenti parte del compenso promesso all’ex dipendente fossero validamente correlati all’interesse della società nel tutelare la propria posizione.

Qui in download una tabella riassuntiva della regolamentazione e dell’atteggiamento nei confronti dei patti di non concorrenza in alcuni Stati. Va comunque sottolineato che l’indirizzo degli Stati qui discusso si riferisce a patti di non concorrenza a carico dei dipendenti della società. Altre situazioni, quali ad esempio la clausola non compete riferita al periodo successivo alla cessione di un business (società, azienda o ramo d’azienda) rientrano in una diversa categoria e, come tali, ricevono un trattamento diverso.

  1. Fifield v. Premier Dealer Servs., Inc., No. 1-12-0327 (Ill. App. Ct. June 24, 2013) – File .PDF in download
  2. Nella maggior parte degli Stati USA il contratto a tempo indeterminato è considerato “at will”, cioè è prevista la facolta di terminare il rapporto in ogni momento.
  3. Lo Uniform Trade Secret Act è stato promulgato nel 1979 e successivamente modificato nel 1985, con lo scopo di uniformare la disciplina dei segreti commerciali e industriali. E’ stato sinora ratificato da parte di 47 Stati.